“Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché l’osservare non è solo un ricevere ma, al tempo stesso, è un atto creativo” Søren Kierkegaard
Il Linguaggio Visivo-Percettivo usa l’intelligenza della natura e dipende dall’Old Brain.
Il sistema sensoriale di ogni individuo, quando entra in rapporto con cose e persone, trasmette le prime sensazioni alla psiche, la quale, a seconda dello stimolo, le traduce in una delle quattro emozioni fondamentali: Piacere, Dolore, Paura e Rabbia. L’emozione, a sua volta, apre la porta ai sentimenti (la paura a lungo diventa ansia e angoscia, il piacere a lungo diventa amore o felicità, il dolore a lungo diventa sofferenza, tristezza, la rabbia a lungo diventa disprezzo, violenza e cos’ via.
Con il passare del tempo le emozioni svaniscono per lasciare il posto ai sentimenti, i quali, rispetto alle emozioni, hanno consapevolezza del significato. Per esempio, nel caso di una cattiva notizia i sentimenti che seguono l’emozione del dolore sono, di solito, sofferenza, tristezza o rabbia.
Quello che che senti e percepisci attraverso le tue prime emozioni e i relativi sentimenti esprime la verità della tua percezione.
Il Linguaggio Verbale-Concettuale, invece, usa la conoscenza acquisita dalla corteccia cerebrale (la mente, sede della memorie e dell’apprendimento): tutto ciò che ci è stato insegnato dalla religione, dalla scuola, dalla cultura del sistema nel quale viviamo, dalla famiglia e dalla storia. Questo tipo di apprendimento, che comprende tutte le nozioni che abbiamo acquisito, compreso pregiudizi, stereotipi e tutti i condizionamenti mediatici e televisivi, può condizionare o addirittura bloccare le prime sensazioni e limitare il nostro modo di guardare o farci guardare solo quello che guardano gli altri.
In ogni individuo, una delle due “forme di linguaggio” è dominante, per cui, la scelta del linguaggio è influenzata dal prevalere delle sensazioni (percezione) o della mente (concetti), che ti orientano verso un linguaggio fotografico intuitivo o concettuale, ma le due cose possono anche coesistere.
Piuttosto vorrei farti comprendere che inizialmente il problema più importante per il fotografo, oltre ad una buona conoscenza del linguaggio e della tecnica, è il condizionamento mentale, perché cosa vedi rischia di essere filtrato da tutto ciò che limita l’orizzonte del tuo sguardo: cioè come guardi.
Come dice Kierkegaard: “vedere è un atto creativo e dipende da come si guarda”
P.zza Italia a Trieste: questa foto, lo scattata durante la performance di un artista (A. Arban) sul pericolo dell’omologazione culturale e sulla perdita della capacità critica.
Mentre fotografavo, ero rapito dalla forza simbolica delle immagini. Improvvisamente la donna col bambino ha cambiato direzione rispetto al “gregge”. In quel cambio di movimento e di forma ho percepito, in una frazione di secondo la sensazione e l’impulso a scattare: il “momento decisivo“.
Anche in questa foto, come in altre, mi sono accorto solo dopo, davanti al computer, di aver colto un momento significativo per me.
Quel bambino è anche il simbolo del mio bambino interiore – le mani, sono il gesto del mio prendermi cura – il cambio di direzione della donna è l’espressione della mia scelta di vita.
Nello scatto, quello che ho percepito e fotografato sono i simboli del mio processo di crescita interiore, dei miei sentimenti e delle mie scelte personali in atto.
In questo senso la fotografia se non è un medium che esprime la tua verità personale, è illusione.
Un opera diventa arte quando il suo contenuto, si stacca dal personale per prendere vita da solo assumendo una valenza espressiva universale.
Siate eretici