PAESAGGIO,
interpretazione vs illusione.

“La Natura è neutra, siamo noi che la rivestiamo di significato”. cit. Personale
Abruzzo, Francavilla al Mare: le luci del tramonto, dopo un breve ma intenso temporale, hanno offerto uno spettacolo primordiale. Ho avuto appena il tempo di scendere dall’auto e fare alcuni scatti con un 50 mm. Questa foto è la mia preferita: in questa atmosfera fuori dal tempo, tra cielo, terra e mare, ho visto sei automobili. In quel momento, con quel paesaggio erano come la caria di un dente.
Quello che voglio farti notare, in questo articolo, è la scelta dell’inquadratura. Potevo evitare le auto ed esaltare solo l’incanto della natura. Il paesaggio naturale è in assoluto uno dei soggetti più fotografati, proprio perché è il nostro habitat, il nostro profondo legame con la natura.
In questo tipo di scelta si nasconde la potenzialità del linguaggio visivo e della fotografia come comunicazione. Conoscere il linguaggio visivo, la teoria dello sguardo e della percezione della forma, ti da la possibilità di guardare e vedere con i tuoi occhi, trasformando la tua foto in un’immagine che, prima di ogni altra cosa, parla di te e della verità che esprimi: che non è mai un’illusione.
La fotografia di paesaggio (di solito) richiede un coinvolgimento emotivo per coglierne il carattere o le contraddizioni e un discreto allenamento visivo (a volte anche fisico), per cercare il punto di vista. In ogni caso, salvo che non sia la solita foto turistica, bisogna avere la sensibilità e la volontà di decidere cosa vuoi guardare. Lo stesso luogo, come vedrai nelle foto, può trasmettere, fotograficamente, messaggi e stati d’animo molto diversi, in relazione, soprattutto, alla tua scelta dell’inquadratura, alla tua cultura, alla tua percezione e al tuo modo di vedere.
Nel rapporto con il paesaggio, ma anche con qualsiasi altro soggetto, l’esperienza percettiva dipende da come guardi e da quello che vedi. Alla fine, il valore del risultato fotografico non è nell’originalità del soggetto in sé, ma nella tua interpretazione.
Se non si “vedono” i segni del rapporto tra uomo e natura (nel bene o nel male) rischi di essere vittima dell’illusione della bellezza. Intendiamoci, non ho nulla contro questa tendenza fotografica; ci sono molti autori che fanno foto spettacolari dal punto di vista estetico-formale, che mi ricordano la pittura impressionista del primo ‘900 ma, molte di queste foto, sono prive di contenuti personali. Contenuti che sono il punto di forza del linguaggio fotografico: la ricerca e la narrazione del senso e delle contraddizioni della realtà e dell’uomo. Frequentando le montagne, mi sono trovato spesso di fronte a paesaggi incantevoli, che ho fotografato, ma più tardi ho capito che era un lavoro simile ad una stampante: cos’ì, certi momenti, invece di fotografarli, li ho vissuti emotivamente fino in fondo, fuori dal controllo della mente: in silenzio.
In quei momenti ho capito che non stiamo distruggendo solo la natura, ma anche l’identità ontologica dell’uomo privandolo dell’esperienza emotiva con la realtà realtà che, invece, passa attraverso le immagini.
Tu: si ma una bella foto della natura esprimere la bellezza che stiamo perdendo e contribuisce ad un messaggio positivo.
Io: si e no: il rischio è l’ambiguità. La bellezza di una foto di paesaggio è una proiezione, sulla natura, del tuo desiderio di bellezza. La natura non è né bella, né brutta, siamo noi che la rivestiamo di significato: dall’esterno trasformandola in immagine. Questa “sete” di immagini di bellezza è l’indicatore che stiamo perdendo la connessione emozionale con la natura.
Tu: ma allora perché questa tendenza fotografica è così diffusa e valorizzata in mostre e in editoria?
Io: quando non è un business diventa il sostituto del vuoto interiore. Più è grande il vuoto, più profondo è il desiderio di cercare la bellezza in qualcosa di esterno, dimenticando, che è dento di noi: nel nostro comportamento guidato dall’anima. Non c’è bellezza senza anima. Con questo voglio dire che è l’uomo che deve vivere la bellezza nel mondo invece che idealizzarla nelle immagini della natura. Fino ad oggi, l’espressione del comportamento dell’uomo è fare guerre invece che fare bellezza: oggi sono rari i costruttori di bellezza. Qualcosa non funziona come dovrebbe nel nostro cervello: è come se una delle sue funzioni, la più recente (neocorteccia), sia scollegata. Almeno questa è la mia sensazione.
Tu: allora a che cosa servono le foto di paesaggi bellissimi e/o di corpi bellissimi?
Io: diversamente dalle opere dell’antica Grecia, oggi servono a sostenere l’illusione dell’apparenza. L’apparenza ha sostituito l’essere, scollegandoci dalla realtà che è diventata sempre più un’illusione virtuale, un’immagine, sollevandoci dall’impegno personale di fare bellezza: è più facile apparire (sembrare di essere) che impegnarci ad essere se stessi e fare scelte fuori dal gregge.
“quello che facciamo, oggi, passa attraverso l’immagine: non si è felici se non coincide con l’immagine”. Ronald Bartes in “Camera chiara”.
Questo è il motivo per il quale ho inserito nel paesaggio le auto e le due vecchie strutture di cemento: per impedire, guardando il paesaggio, la fuga nell’illusione che la bellezza sia fuori. Le auto, gli edifici abbandonati sono come la caria di un dente o “the day after”. Qualcuno dirà che potevo evitarli.
Quest’ultimo scatto che propongo è molto diverso. Mentre le due precedenti foto contengono degli elementi che ti impediscono la via di fuga nell’illusione, anzi introducono un elemento critico, questa ti accoglie e ti invita ad una riflessione interiore. Su quel piccolo lembo di terra, ci sono due persone. Due piccole figure, abbracciate l’una con l’altra, di fronte a qualcosa di maestoso e misterioso. Emerge la dimensione dell’uomo di fronte ad una natura sorprendente, austera e non sempre fedele.
Forse è proprio l’amore, il calore di un abbraccio, che ci salva e riempie il vuoto del non essere: sempre se siamo ancora capaci di amare: di dare amore e di riceverlo.
Siate eretici