L’inquadratura è una componente fondamentale del linguaggio cinematografico e fotografico necessaria per interpretare e comunicare la realtà che, come la definisce P.P.Pasolini: “è un cinema in natura…e questo cinema in natura, che è la realtà, è in effetti un linguaggio simile al linguaggio orale degli uomini”.
La realtà è un linguaggio fatto di forme che, come le parole, hanno un significato: il linguaggio delle forme è di natura percettiva-sensoriale, mentre il linguaggio delle parole è di natura mentale-concettuale.
In fotografia, diversamente dal cinema che si esprime per scene e sequenze, l’inquadratura è una visione di sintesi: la percezione istantanea del significato di quello che guardi…e scatti quando gli elementi presenti nell’inquadratura assumono il significato, che vedi solo tu.
In ogni cosa o persona c’è sempre qualcosa di inesplorato, qualcosa di sconosciuto con cui stabiliamo un contatto e scopriamo qualcosa di noi e della realtà esterna.
Se guardi con superficialità o ti accontenti delle tendenze e dei significati che gli altri hanno già dato alle cose, sei di fronte ai limiti dell’orizzonte del tuo sguardo.
Quindi, non fermarti alle nozioni che hai ricevuto. Metti tutto in discussione.
L’inquadratura, come le parole, ha un grande potenziale eretico, per questo motivo non se ne parla molto nelle scuole e, soprattutto, non si insegna cosa significa guardare.
Il sistema ti insegna a guardare in un’unica direzione: la sua.
Qualcuno ha scritto: “il sistema non vuole la felicità degli individui”.
“Quindi, se segui il tuo bisogno interiore di esprimere quello che senti la fotografia è savia (vera), se invece fai ciò che vogliono e si aspettano gli altri la fotografia è pazza (falsa)”.
Roland Barthes
Prima o poi ti troverai a dover dare una risposta al tuo modo di fotografare: è vero o falso?
Dipende da quanto ci tieni alla tua libertà e verità personali e da quanto soffri. Ci sono passato anch’io. Importante è non rimanere intrappolati nella “gabbia mentale” per tutta la vita.
Carl Gustave Jung nella sua più brillante teoria scrive: “poche persone guardano e usano il pensiero per svolgere tutte le principali funzioni della vita e della crescita personale, tutti gli altri sono intrappolati nelle più svariate forme di nevrosi o illusioni che ne limitano l’uso, tenendoli al sicuro in una “gabbia” che si sono costruiti per autodifesa dai traumi della nostra civiltà”.
Segni e Simboli dell’uomo, di C. G. Jung.
Se vuoi crescere inizia col chiederti:
Come guardo e cosa vedo nelle cose che voglio fotografare?
Cerco qualcosa di personale, oppure faccio quello che fanno gli altri?
Ecco, a proposito, un divertente aneddoto storico: un giorno il giovane Guy de Maupassan, figlioccio e allievo di Flaubert, gli raccontò che non riusciva più a scrivere perché non gli interessava più niente, neppure i culi delle donne (era un donnaiolo).
Flaubert gli rispose: “caro Guy, forse non guardi bene o da più vicino le cose. In ciò che guardi c’è sempre qualcosa di sconosciuto da scoprire che attende chi sa vedere”.
Sono domande molto importanti solo se tu le ritieni importanti. Alla fine, quello che conta, per un fotografo, non è tanto COSA GUARDI ma COSA VEDI: o vedi quello che scopri tu (come dice Flaubert) o vedi quello che vedono gli altri.
Siate eretici
Un esempio di cosa intendo per come guardo e cosa vedo:
© Ruggerolorezi

1.Foto dell'illusione di qualcosa: non compri una scarpa, ma il marchio. È uno stll life di prodotto in linea con il sistema.

2.Foto del destino effimero di ogni illusione. Questa foto è l'antitesi della prima. È quel qualcosa di sconosciuto che attendeva di essere visto o scoperto.

Il Ritratto di ricerca introspettiva. Ci sono molti aspetti della nostra personalità, alcuni dei quali sono nascosti e non ne sei consapevole. Il ritratto può essere in grado di scoprire sentimenti ed emozioni inconsce.
