“siamo prigionieri dell’immagine che, di noi, diamo agli altri fino a quando, ciò che siamo, vogliamo dimostrarlo agli altri e non a noi stessi”. Cit. personale.
Ciao, mi chiamo Ruggero, sono nato in un piccolo paese delle dolomiti Friulane. Fin da piccolo, ho sempre avuto il desiderio e la curiosità di vedere cosa ci fosse al di là delle creste delle montagne che circondano il paese. Chissà, forse questo “limite” fisico mi ha influenzato il desiderio di guardare oltre i limiti dell’orizzonte dello sguardo.
Faccio il fotografo, l’artista e mi piace scalare le montagne. Sono nonno di Carlo, un bimbo vivacissimo di 6 anni che ha già voluto provare l’emozione dell’arrampicata nella falesia di Erto-Casso (Vajont) – PN.
Non ho girato il mondo come Salgado ma ho compiuto lunghi e burrascosi viaggi interiori; credo che anche quello di Salgado, tutto sommato, sia un viaggio interiore. Penso che le due strade, alla fine, conducano verso lo stesso intento umano: una indaga la sofferenza dell’umanità nel mondo, l’altra quella interiore dell’uomo.
Il fotografo non può risolvere la sofferenza del mondo: la racconta, mentre l’individuo può lavorare sui suoi traumi, sui condizionamenti e sulle credenze, che sono le condizioni mentali che ostacolano la sua crescita e limitano l’orizzonte del suo sguardo (vere e proprie montagne interiori da scalare).
In entrambi i casi, la fotografia, ha ancora molto da dire.
Se sei tra quelli che non si accontentano e hai qualcosa da dire, una volta appresa la tecnica del linguaggio fotografico, devi cercare di ripristinare il dialogo interiore con te stesso (chi sono?, cosa voglio?), interrotto dal continuo martellamento pubblicitario, sempre più alienante, ad opera dei mezzi di comunicazione di massa (TV e Social).
L’eccezionale sviluppo del consumismo, dagli anni sessanta in poi, ha creato una condizioni di mercato che ha favorito la diffusione di un certo benessere materiale ma, nel contempo, ha provocato la nascita di un problema psicologico del tutto nuovo e pericoloso: il trasferimento dei valori interiori dell’uomo, dall’ESSERE (dal mondo interiore), all’APPARIRE (agli oggetti di consumo): valgo perché indosso X o perché viaggio in Y, valgo in rapporto a quello che ho e che appare, non a quello che sono, che non appare. Sono stereotipi di massa, luoghi comuni, abitudini sociali create di proposito da un sistema economico senza controllo e senza scrupoli per farci acquistare illusioni.
La mancanza di un dialogo interiore con te stesso/a ti rende vulnerabile. Sei facilmente preda delle illusioni che ti allontanano dal bene più prezioso: essere te stesso/a, che è la tua più grande e vera ricchezza: presupposto di libertà e la condizione psicologica per essere felici.
Il mito: Omero, attraversando il golfo di Salerno, si fa legare all’albero maestro (dopo aver ordinato alla ciurma di mettersi i tappi nelle orecchie) per non cadere vittima del canto ammaliante delle sirene, canto che porta all’oblio di sé.
Il significato: il canto delle Sirene è una melodia che crea dipendenza in chi lo ascolta, che stordisce con la sua dolcezza e il suo calore, ma è pericoloso perché interrompe il tuo viaggio di crescita interiore.
Le sirene di oggi sono tante, la pubblicità, al servizio del consumismo, è la più pericolosa: le sue immagini ti abbracciano e ti fanno sognare mondi che non esistono, situazioni calde e felici nelle quali ti identifichi e sposti i tuoi valori su ciò che appare, come ho detto all’inizio.
Intendiamoci, se puoi farlo, puoi acquistare tutto ciò che vuoi; quello che sto cercando di dirti è che bisogna essere consapevoli, non schiavi delle cose, per farne l’uso che ti serve, non per apparire. Se fai attenzione ti accorgerai che è solo un inganno: una cosa è servirsi delle cose per i tuoi progetti o per il tuo piacere personale, un’altra è servirsene per apparire.
Più conosci te stesso più correggi questa distorsione mentale e, di conseguenza, il tuo modo di guardare, visto che fai il fotografo; quello attuale è un tempo di grandi incertezze ed è il tempo migliore per iniziare a conoscerti, lavorare sui condizionamenti e decidere cosa guardare.
C’è gente che, uscendo di casa, guarda solo i semafori, qualcun altro anche il cielo.
Negli anni 50 del secolo scorso, fotografando le periferie e l’emarginazione sociale, i Neorealisti sognavano di cambiare il mondo. Allora si fotografavano le diseguaglianze che erano molto visibili, oggi, che tutti uardano, vestono e si comportano allo stesso modo, cosa si fotografa? cosa c’è dietro ciò che appare?
Ti sei mai chiesto cosa c’è dietro questa apparenza? Cosa c’è dietro questo enorme luna park? Quali sono le immagini che possono esprimere la condizione di disagio psichico dei giovani e la diseguaglianza sociale che c’è ma non è così visibile, come negli anni 50?
È una bella sfida per la fotografia di questo millennio. È una sfida che lancio ai fotografi eretici.
A questo punto, fare il/la fotografo/a o l’artista non è più solo una passione ma diventa una missione personale; non importa se non ti accenderanno i riflettori: ciò che conta sono le tue foto: il tuo sguardo, la tua sensibilità, la tua creatività, la tua percezione intima del mondo e della bellezza. Quando guardi l’essenza delle cose e delle persone, dietro ogni diseguaglianza, trovi la bellezza.
“Ciò che si vede dipende da come si guarda. Poiché il guardare non è solo un ricevere, ma è al tempo stesso un atto creativo: uno scoprire”. Soren Kierkegaard.
Con la mia esperienza, ho deciso a fare qualcosa per colmare questo diffuso bisogno di trasformare lo sguardo in atto creativo, in scoperta, in analisi. Il mio impegno con il Blog e, prossimamente, con un manuale sul linguaggio fotografico è la mia sfida alla noia delle immagini attuali, non per eliminarle (non dipendono da me), ma per fare un po’ di luce sul modo di guardare, di percepire e di tradurre in una inquadratura ciò che vuoi esprimere.
Siate Eretici